Palestina: traditi da Obama

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Mentre l'aspirante presidente degli Stati Uniti Barack Obama conclude la visita in Israele e Palestina, i titoli dei giornali di tutto il mondo non fanno che parlare dell'attenzione dedicata dal Senatore statunitense a Israele, e dell'incuranza dimostrata verso la causa del popolo palestinese.

In particolare, un titolo del quotidiano Haaretz sembra riassumere al meglio lo stato d'animo della blogosfera palestinese: “La visita di Obama serve a compiacere gli ebrei americani”. Non a caso i blog palestinesi riecheggiano quest'interpretazione, notando in particolare come Obama abbia scelto di visitare Sderot.

Bruised earth, blogger britannico filo-palestinese, ritiene che recandosi a Sderot Obama abbia approfittato della situazione, senza preoccuparsi dell'effetto della visita sull'intera opinione pubblica palestinese. Il blogger fa notare che…

So che è in cerca di voti – ma andare a Sderot per parlare ancora una volta delle difficoltà quotidiane dei coloni che hanno scelto (!) di vivere lì, e che [a differenza dei palestinesi] non sono intrappolati, nè trattenuti – o quel che è peggio – incarcerati dall'esercito, rivela un livello di insolenza finora impossibile immaginare.

Non dimentichiamoci che Obama era stato l'unico candidato alla presidenza abbastanza deciso da denunciare le violenze e l'oppressione perpetrate ai danni del popolo palestinese. Che fine ha fatto quel leader? Siamo sicuri che tornerà, una volta eletto?

Continua a emergere un disegno decisamente pericoloso… conviene fare così solo per ottenere qualche voto in più?

Un recente post di Desertpeace, attivista americano che vive a Gerusalemme, parla di “Obama al Muro”. Il blogger si spiega meglio con un rapido commento:

Non il Muro dell'Apartheid, come era lecito aspettarsi… bensì il Muro del Pianto.

AMPAL (American Palestinian) si dice sorpreso della mancata visita di Obama al Santo Sepolcro, aggiungendo:

Al contrario, direi che il posto perfetto per una visita del futuro presidente CRISTIANO degli Stati Uniti (sulla falsariga di quella fatta alla convention dell'AIPAC (American Israel Public Affairs Committee, pochi giorni dopo la conquista della nomination democratica) sia proprio il Muro del Pianto, luogo sacro agli ebrei. Anche se il terzo luogo sacro ai musulmani, l'Haram al Sharif, si trova proprio dall'altra parte di quel muro. Sembra che abbia fatto per due volte di fila la scelta giusta: prostrarsi, singhiozzare ed inginoccharsi innanzi agli artefici del proprio destino (sionisti sia israeliani che americani) per ricevere una qualche benedizione dal cosiddetto popolo eletto. Eppure, nonostante tutto questo, continuano a dubitare di te, povero Obama…

Mentre altri blogger sembrano concentrarsi sulle azioni di Obama, The Angry Arabs’ Comment Section ne contesta le dichiarazioni, e in particolare la proclamazione di Gersualemme a “capitale di Israele”. Si chiede il blogger:

Cosa? La frase “io dico che sarà la capitale” è completamente opposta alla posizione secondo cui tale questione riguarda lo status finale da negoziare tra le parti. A meno che non abbia una sfera di cristallo e ne conosca in anticipo le decisioni.

La domanda cruciale è: in che modo l'appoggio di Obama alle posizioni di Israele, apparentemente illimitato, ne condizionerà la campagna? Scrivendo sul blog Arabdemocracy Joseph Al-Khoury ci spiega perchè ciò non dovrebbe avere alcuna influenza per gli arabo-americani:

Gli Stati Uniti sostengono fedelmente l'entità sionista sin dalla sua creazione, nel 1948, rifornendola dei fondi, della tecnologia e dei mezzi militari necessari al controllo del Medio Oriente e all'abbattimento delle speranze di una generazione di arabi dopo l'altra. È improbabile ciò possa cambiare, indipendentemente da chi diventerà Presidente il prossimo novembre. Ci sono comunque due fattori che gli elettori arabi dovrebbero prendere in considerazione prima di votare. Il primo è che un'amministrazione Obama non avrà alcun preconcetto ideologico nel confronto con Israele, mentre in una transizione Bush-McCain persisterebbero residui dell'impostazione neo-conservatrice e cristiano-evangelica. La politiche, di fatto, potranno rimanere a svantaggio della popolazione palestinese, ma sarà sempre più facile discutere e contestare simili pratiche, piuttosto che quelle fondate sull'intervento divino. Il secondo fattore è che l'elezione di un uomo moderno, nero e liberal alla più alta carica gioverà agli Stati Uniti, indipendentemente dalla sua condotta in politica estera. Si tratta di una rivoluzione in corso d'opera, e come ben sanno tutti gli immigrati scaltri, è unendo le propie energie con i locali che si viene accettati. Come afferma cinicamente il poeta americano Gil Scott-Heron: “La rivoluzione non verrà trasmessa in televisione”… ma l'elezione lo sarà di certo!

Questo articolo è apparso anche su Voices without Votes.

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