Stati Uniti: giornalista sotto processo per aver condiviso un link

Questo post è stato scritto dal direttore esecutivo di ARTICLE 19, Agnes Callamard. Una versione precedente del testo è apparsa sul sito di ARTICLE 19 [en, come tutti i link successivi].

Il giornalista americano Barrett Brown è attualmente sotto processo per aver fatto una cosa che molti di noi fanno quotidianamente: postare un link su internet. Se sarà condannato, il diritto di condividere informazioni sul web negli Stati Uniti sarà messo seriamente in pericolo.

Poster della campagna ad opera di Kaytee Nesmith, Christopher Chang, ABCNT, Freeanons e Somerset Bean, dal sito freebarretbrown.com

Poster della campagna ad opera di Kaytee Nesmith, Christopher Chang, ABCNT, Freeanons e Somerset Bean, dal sito freebarretbrown.com

Brown è il fondatore di Project PM, un progetto di crowdsourcing nel quale un gruppo di esperti analizza le relazioni tra le aziende di sicurezza privata e il governo americano. Alcune delle accuse mosse contro Brown riguardano la pubblicazione da parte del giornalista di un link ipertestuale sulla chat room di Project PM. Il link rimandava a un file zip contenente informazioni sottratte alla società appaltatrice di intelligence Stratfor Global Intelligence. Sebbene sia stata stabilita l'estraneità di Brown all'attacco hacker, dato che il file zip da lui postato conteneva email con informazioni rubate riguardanti carte di credito, il giornalista è stato accusato di traffico illecito di dati di autenticazione, frode sui dispositivi d'accesso e furto d'identità aggravato. Brown è in custodia cautelare dal settembre 2012. 

Il prossimo anno Brown andrà sotto processo per diversi capi d'imputazione che complessivamente potrebbero portare a una pena massima di 105 anni di carcere. Un tale verdetto potrebbe creare un precedente allarmante per casi simili in futuro.

Non è un'esagerazione dire che Internet consiste in una serie di link ipertestuali. L'uso dei link, riferimenti ad altro materiale pubblicato online, costituisce il perno di Internet ed è una caratteristica basilare dell'interazione online e della pratica giornalistica. I link sono una parte essenziale del diritto a ricevere e diffondere informazioni e idee. Questo diritto fondamentale è tutelato sia dalla legge internazionale sui diritti dell'uomo sia dal primo emendamento della costituzione americana. Un'eventuale condanna di Brown per la pubblicazione di questo link potrebbe avere un effetto devastante sia per quanto riguarda la libertà di espressione sul web sia per il giornalismo investigativo. L'importanza del caso Brown è già stata messa in luce da fatti recenti riguardanti il professore della Johns Hopkins University, Matthew Green. A inizio settembre a Green è stato chiesto di rimuovere un post pubblicato su un blog, nel quale criticava l'Agenzia di Sicurezza Nazionale, perché “rimandava a materiale riservato”. L'unico materiale riservato a cui Green aveva rimandato erano informazioni già disponibili al pubblico, presenti nei reportage pubblicati dal Guardian e dal New York Times. Questo fatto sottolinea come ci sia l'urgente bisogno per gli Stati Uniti di difendere chiaramente nella legge federale il diritto a pubblicare link.

In generale, è un principio consolidato quello secondo cui i giornalisti non debbano mai essere considerati legalmente responsabili della pubblicazione e della diffusione di informazioni riservate o trapelate, a meno che non siano ottenute in modo illegale (attraverso una frode, ad esempio). Questa protezione è vitale per assicurare la sostenibilità del giornalismo investigativo. In questo caso, non si sostiene che Brown sia coinvolto nell'attacco hacker; lui ha semplicemente postato un link che rimandava a informazioni già disponibili altrove. Tutto ciò dovrebbe essere fortemente protetto, soprattutto quando tale attività è svolta per fini giornalistici.

In aggiunta a queste accuse contro Brown, un giudice della Corte distrettuale di Dallas, in Texas, nel settembre 2013 ha emesso un ordine che vieta a Brown e alla sua difesa di rilasciare dichiarazioni stragiudiziali riguardanti il caso o di parlare con i media. Associazioni di interesse, inclusi ARTICLE 19 e  Committee to Protect Journalists, temono che quest'ordine sia ancora una volta indice della protezione aggressiva delle reti nazionali di vigilanza messa in atto dal governo americano a spese della libertà d'espressione e di stampa, garantite dal diritto internazionale.

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