Quale futuro per i libanesi nelle carceri siriane?

Fin dal 2005, tempo prima delle proteste [en, come tutti i link tranne ove diversamente indicato] con cui oggi i siriani invocano la caduta del quarantennale regime della famiglia Al-Asad, nel centro di Beirut c'è una tenda dove un gruppo di madri, mogli, sorelle e figlie ha organizzato un sit-in permanente per chiedere il ritorno dei loro cari dalla Siria. Con il sole e con la pioggia, queste donne rivendicano il diritto di conoscere le sorti dei mariti, fratelli, figli e padri di cui si è persa ogni traccia durante la guerra civile in Libano [it] e la successiva occupazione siriana. Alcune persone risultano scomparse da più di trent'anni.

La tenda delle famiglie dei libanesi scomparsi e detenuti in Siria

La tenda delle famiglie dei libanesi scomparsi e detenuti in Siria

Lo scorso maggio, il presidente Asad ha concesso un'amnistia generale [it] per i prigionieri politici, ma non è chiaro se il provvedimento valga anche per prigionieri politici e detenuti di nazionalità libanese. Cosa sarà di loro, considerato lo stato in cui versa attualmente il Paese? Bisogna guardare con ottimismo al vento del cambiamento che potrebbe soffiare su Damasco?

La questione è stata scarsamente trattata dalla blogosfera e dai citizen media, eccezion fatta per diversi gruppi e pagine Facebook aggiornati con regolarità come Asad, libera i prigionieri libanesi in Siria, Salviamo i libanesi detenuti in Siria e Famiglie dei libanesi vittime di sparizione forzata in Siria, o la petizione Prigionieri politici libanesi in Siria su Cause.com.

Tra i blog bisogna invece citare il post di Elie Fares, di A Separate State of Mind. Il 16 marzo, Elie scrive:

I libanesi rinchiusi nelle carceri siriane non sono trattati come esseri umani. Una delle poche persone riuscite a uscirne è un'insegnante di Tripoli. La donna ha descritto le torture cui è stata sottoposta, con particolare attenzione per un procedimento chiamato “il pneumatico” (douleib): il detenuto viene fatto mettere in un pneumatico e colpito su tutto il corpo con fili elettrici. La testimone ha subito gravi danni a un occhio, esploso come un uovo fritto. Ma ai carcerieri non importava, hanno continuato a picchiarla.

E aggiunge:

Oggi mi rivolgo dunque a coloro che hanno ancora un po’ di umanità. È come se il partito politico in possesso dei mezzi per agire non fosse minimamente interessato. Spero perciò con tutto il cuore che le proteste in Siria portino un po’ di sollievo alle famiglie dei detenuti libanesi e contribuiscano alla scrittura di una nuova pagina nella storia delle relazioni tra i due Paesi, una pagina che ci vede uguali e non figli di una provincia che non c'era.

Immagine dalla campagna Conoscere è un mio diritto

Immagine dalla campagna Conoscere è un mio diritto, tratta dalla pagina Facebook Famiglie dei libanesi vittime di sparizione forzata in Siria

Al 2 giugno risale invece questo post [ar] dell'egiziano Ahmed Hegab, intitolato “Perché nessuno parla dei prigionieri libanesi in Siria?”:

عندما قرأت خبر العفو عن المعتقلين تخيلت و لو للحظه ان كلمة المعتقلين تضم المعتقليين اللبنانيين فى السجون السوريه !!!! الجيش السورى قبض على المئات فى سوريا قدر عددهم الرسمى 650 أسير لبنانى , أكاد أشك فى الرقم ! ولا أحسب هنا عدد المفقودين اثناء الإحتلال السورى للبنان , أكاد افهم صبر الناشطين و الحقوقيين فى لبنان حيث الدعم الأعلامى من حزب الله للنظام السورى و الإرهاب الفكرى للبنانيين فى أن يتكلم أحدهم عن النظام السورى و التضييق على اي فعاليات تدعم الثورة السوريه , لكن عن تجربتنا فى مصر اقول لكم ان النظام السوري سينهار ان عاجلا او أجلا , أبحثوا عن أسراكم و أضغطوا على الجامعة العربية , أضغطوا على المجتمع الدولى فالنظام السورى الأن على إستعداد ان يقدم اي تنازلات حتى لا يسقط
Dopo aver letto la notizia dell'amnistia, per un attimo ho pensato che il termine prigionieri includesse anche i libanesi detenuti in Siria. L'esercito siriano ha arrestato centinaia di persone-il numero ufficiale è di 650 libanesi, ma dubito si tratti della cifra esatta. Inoltre non ho tenuto conto di quanti sono scomparsi durante l'occupazione siriana del Libano. In qualche modo comprendo la pazienza degli attivisti libanesi di fronte alla propaganda mediatica pro-Asad messa in atto da Hezbollah, al terrorismo psicologico che entra in gioco ogni volta che un libanese parla della Siria e alla repressione di ogni azione a sostegno della rivoluzione siriana. Ma, alla luce della nostra esperienza in Egitto, vi dico: il regime siriano cadrà, prima o poi. Cercate i vostri prigionieri e fate pressione sulla Lega Araba e sulla comunità internazionale, perché in questo momento il regime è disposto a fare ogni tipo di concessione per non sprofondare.

Intervista

Wadih Al-Asmar

Wadih Al-Asmar (foto usata col permesso del proprietario)

Alla luce degli ultimi eventi, e prima che la faccenda cada nell'oblio, ho intervistato Wadih Al-Asmar, segretario generale del Centro Libanese per i Diritti Umani – CLDH (Twitter e Facebook).

Thalia Rahme: Quali sono gli ultimi sviluppi sulla questione dei libanesi detenuti in Siria? Mi riferisco in particolare ai disordini che stanno sconvolgendo il Paese.

Wadih Al-Asmar: La situazione in Siria è piuttosto critica, incerta e confusa. Questo si riflette inevitabilmente sulla questione dei libanesi scomparsi. Tutto dipende dal destino del regime di Bashar Al-Asad e della Siria in generale. Bashar andrà o resterà? E nel caso di un cambio ai vertici, sarà dichiarata un'amnistia generale o la sete di vendetta prenderà il sopravvento? In caso Bashar aprisse alle riforme, dovrebbe rimanere al potere? I nostri sentimenti in questo momento si dividono tra dubbio, paura e speranza. La speranza, e la mia è una considerazione dettata dal cinismo, è che sfortunatamente stiamo assistendo a continue sparizioni e rilasci che hanno per protagonisti gli stessi cittadini siriani. Una volta che la situazione sarà più chiara, sarà possibile affrontare la questione da una nuova e più ampia prospettiva. Il dialogo con le autorità siriane dovrebbe riprendere. La domanda è: con quali autorità?

TR: Cosa stanno facendo in proposito le organizzazioni direttamente coinvolte?

W A-A: Oltre a noi, sono tre i gruppi attivi: Sostegno ai Libanesi in Detenzione ed Esilio (SOLIDE), il Comitato Famiglie delle Persone Rapite e Scomparse in Libano e il Comitato Famiglie dei Libanesi Incarcerati in Siria. Abbiamo lavorato fianco a fianco per molti anni, con lo stesso obiettivo e un'unica strategia. Abbiamo documenti che provano l'esistenza di cittadini libanesi nelle carceri siriane (non parlo delle persone processate e condannate per crimini vari) e disponiamo di strategie e meccanismi d'azione… Quello che ci manca è una copertura ufficiale, dal momento che la Siria si rifiuta di collaborare.
C'è un comitato congiunto libanese-siriano nato nel 2005 con l'incarico di seguire il caso. Il suo operato è purtroppo inefficiente, in particolare da parte libanese – ci si limita a replicare la posizione siriana di totale negazione delle detenzioni. Negazione che va contro ogni prova.
Chiediamo dunque un riconoscimento ufficiale al fine di iniziare un dialogo con i siriani, che in questo modo non avrebbero altra scelta che riconoscerci. Indipendentemente dal regime e dalle forze a capo del Paese, solo così saremo in grado di prendere provvedimenti effettivi. Dovrebbe nascere una commissione libanese ufficiale con l'obiettivo di indagare su tutti i casi denunciati, siano essi in Siria, Israele, Libia, Libano… dappertutto.

TR: In che senso l'attuale comitato è inefficiente?

W A-A: Farò un semplice esempio: ottenute prove sufficienti su un detenuto, lo comunichiamo al referente libanese, che a sua volta contatta la controparte siriani. Poi la Siria nega che quella tale persona si trovi entro i suoi confini, e la storia finisce lì. Non viene preso nessun altro provvedimento.
Una volta abbiamo presentato il caso di una donna apparentemente giustiziata. Come sempre, la Siria ha negato. Grazie alla nostra insistenza, la sezione libanese ha nuovamente riferito alla controparte siriana, stavolta pronta ad ammettere che la donna si trovava in Siria e che aveva subito una condanna per impiccagione cancellata all'ultimo minuto. Ma per noi non era sufficiente: volevamo sapere dove si trovasse. L'abbiamo chiesto, ma invano..

TR: Poco tempo fa il presidente Asad ha emesso un decreto che garantisce l'amnistia a tutti i prigionieri politici. La grazia vale anche per i libanesi

Odette Salem

Odette Salem è morta il 16 maggio 2009. I suoi figli Christine e Richard sono stati rapiti nel 1985.

W A-A: I libanesi detenuti in Siria appartengono a varie categorie. 1) Quelli che hanno commesso dei crimini in territorio siriano e sono stati processati. Non si tratta di persone scomparse, ma ci interessano comunque dal punto di vista dei diritti umani. 2) Quelli che non hanno commesso crimini ma sono stati arrestati per ragioni politiche e hanno ricevuto una condanna. In questo caso provvediamo all'assegnazione di un avvocato e facciamo il nostro meglio perché il processo si svolga in maniera regolare. 3) Quelli che sono stati rapiti da milizie siriane o libanesi o dalle autorità del Paese di provenienza e trasferiti in Siria, per ragioni politiche e di altro genere. Quest'ultimo gruppo è il più numeroso. Purtroppo l'amnistia riguarda soltanto i prigionieri della seconda categoria, con due sole persone rilasciate su una lista di 120.

TR: In quanto organizzazioni per i diritti umani avete fatto ricorso ai social media per tenere traccia dei prigionieri e raccogliere dati? Se sì, come?

W A-A: Da più di dieci anni usiamo Internet per fare opera di sensibilizzazione sulla questione diritti umani e in particolare sul tema delle sparizioni forzate. I social media ci aiutano a mantenere i contatti con le famiglie, in particolare con quelle che si trovano all'estero.

TR: Secondo lei, in che modo possono le organizzazioni per i diritti delle vittime di sparizioni forzate usare i social media per spostare l'attenzione sulla loro missione?

W A-A: Cercando di raggiungere il maggior numero possibile di persone, spingendole a garantire sostegno.

TR: Quali sono i vostri progetti in merito?

W A-A: Abbiamo collaborato già coi precedenti governi, e stiamo facendo lo stesso con quello attuale per poter arrivare a una soluzione. Speriamo di ottenere presto dei risultati concreti.

Risale al 3 settembre l'evento più recente che ha avuto la collaborazione del CLDH. In quell'occasione, con l'obiettivo di incoraggiare e rendere partecipi i giovani, sono state organizzate una mostra d'arte e una competizione chiamata “La tenda ci unisce” [ar], tenutesi entrambe vicino al sit-in delle famiglie degli scomparsi.

Questo post fa parte del nostro speciale proteste in Siria 2011.

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