Medio Oriente: le riflessioni dei blogger sulla rivolta tunisina

Mentre i tunisini sono ancora alle prese con gli avvenimenti incalzanti di [queste ultime settimane] segnate dalla caduta e dalla fuga di Zine El Abidine Ben Ali, i blogger arabi continuano a scambiarsi idee e riflessioni sulla rivolta tunisina e sulle implicazioni che questa potrebbe avere per tutta la regione.

Dal blog Levantive Dreamhouse, il siriano Abu Kareem ha spiegato le ragioni per cui la rivolta tunisina è fonte d'ispirazione per i vicini Paesi arabi.  Così si esprime [en, come tutti gli altri link tranne ove diversamente indicato] Abu Kareem su LevantineDreamhouse:

Sarà stato il suo insorgere spontaneo, insieme all'assenza di leader designati, a imprimerle quel tono di rivolta genuina e popolare, altro dal rovesciamento di stampo ideologico destinato a servire gli interessi di un gruppo ristretto. Per un arabo è facile rassegnarsi all'idea che i sistemi politici della regione, stagnanti e sclerotici, siano inamovibili e immutabili. Ed è proprio questo senso di rassegnazione e di inerzia che i leader della regione cercano di instillare nella gente. Uccide la speranza, impedisce il progresso e mantiene al potere chi lo detiene.  Mi auguro allora che i suoi leader assimilino la nozione e, osservando quanto accade in Tunisia,  gli corra un brivido lungo la schiena: potrebbe stimolarli a rivedere  il loro percorso.

Il blogger del Bahrein Emoodz ha infranto il voto al silenzio per inneggiare: VIVE LA TUNISIE!

Eccone un commento:

Ho seguito con molto entusiasmo lo svolgersi degli eventi in Tunisia; in tutta onestà avevo poche speranze di vederne lo sviluppo fino al punto in cui siamo oggi.  Per quanto abbia indagato non mi capacito ancora di come i tunisini siano riusciti a rovesciare un regime nel giro di un mese.

E qui un secondo:

Tutto il mondo arabo è animato da un grande fervore per quello che è accaduto, improvvisamente agenzie di stampa e analisti dicono che la crisi tunisina potrebbe segnare l'inizio di un effetto domino in grado di estendersi ad altri governi della regione, cosa che io ritengo molto improbabile…

Ecco cosa si domandava  in proposito la blogger Saudi Hala_In_USA in un post dal titolo Tunisia, Prove us Wrong:

Il “giorno dopo” tutti gli occhi del mondo arabo sono puntati sulla Tunisia: che questo sia l'inizio di un corso democratico senza precedenti in Medio Oriente? Altri Paesi potrebbero essere tentati a fare lo stesso? O magari tutto finirà nelle grinfie degli islamisti o della vecchia guardia di Ben Ali sotto nuova denominazione?

La blogger ha raccontato anche i suoi timori:

Al riguardo nutro sentimenti contrastanti. Da un lato condivido i timori di Robert Fisk nel suo articolo “The brutal truth about Tunisia”, ovvero:  né i Paesi dell'area, né quelli occidentali appoggeranno mai una vera democrazia in Tunisia, temendo gli esiti sconvenienti che potrebbe avere; chi è al potere accetterà solo un modello di stato arabo che assecondi gli interessi fondamentali degli occidentali: l'inimicizia verso l'Iran e un controllo inflessibile sui cittadini… Però credo anche che dall'oppressione e dalle corruttele i tunisini abbiano imparato bene la lezione, e non dimenticheranno facilmente il corpo in fiamme di Bouazizi ricordando per sempre i giorni dell'oppressione, della povertà e della penuria di risorse dovuta al regime totalitario. Mi auguro che la Tunisia sia l'avanguardia di una nuova era, perché ci sia giustizia e si sperimenti il primo governo popolare, dimostrando che avevamo torto e che la possibilità di scelta esiste, che scegliere si può e si può anche lavorare a un futuro migliore …

Anche l'algerino-statunitense Kal, sul blog The Moor Next Door, soppesava le posizioni  osservando:

Il caso Tunisia, con tutto il suo portato idiosincratico (l'eredità di Bourguiba, il secolarismo, l'alto tasso di istruzione, i diritti delle donne) costituisce una novità della politica araba, una novità cui gli osservatori dovranno continuare a prestare attenzione. Hanno subito liquidato gli avvenimenti di Sidi Bouzid come rivolta del pane, senza riconoscerne il potenziale che si è poi espresso. Questo blogger ha usato cautela, come hanno fatto altri, perlopiù per la stessa ragione: non si poteva prevedere che  in Tunisia si verificassero cose simili.  Quello che si è scritto qui nel corso dell'insurrezione  è stato scritto perché si trattava del Maghreb (e perché sembrava … strano). Sarebbe proprio sconfortante che tutto l'impegno immesso dai tunisini nella loro intifada fosse usurpato da vecchi esponenti e apparati di partito e avviato ad essere gestito da consorterie o uomini forti, come è accaduto tante volte in passato. Sul da farsi resta il punto interrogativo.

Da Israele, Yael scriveva su Life in Israel che a ruota potrebbe seguire l'Egitto:

Quello che è successo in Tunisia (la prima caduta di regime nel mondo arabo a seguito di una rivolta popolare significativa anche per l'intera regione), non dovrebbe, almeno nell'immediato futuro, provocare alcun effetto domino con la propagazione di rivolte e rovesciamenti di potere in altri Paesi dell'area. Però il grosso degli analisti raccomanda di fare bene attenzione all'Egitto, perché con molta probabilità sarà il prossimo Paese sulla scia.

E ancora osservava:

Le masse popolari arabe (non solo in Nord Africa, ma anche a est e nella Penisola Arabica) hanno assistito alla caduta del regime tunisino colpo su colpo, e in molti Paesi il popolo potrebbe trarre ispirazione da quest'esperienza. E’ presto per dire quali saranno gli sviluppi in Medio Oriente  e Nord Africa, perché a definire la traiettoria saranno le specificità di ciascun Paese. Una cosa è comunque certa: a livello regionale vi sono mutazioni in corso, almeno su un fronte, ovvero i governi non potranno più continuare a fare finta di niente”

Il blog siriano Qunfuz si è soffermato con più attenzione sulla possibilità che nella regione si produca questo “effetto domino”. Ecco cosa scriveva:

Se ci sarà un effetto domino non sarà immediato e non procederà in modo uniforme. E’ scontato che l'attuale situazione irachena non consenta un'insurrezione antigovernativa unitaria di portata nazionale. Quello è un codice che in Iraq non si applica neanche. In Siria il Presidente gode di una certa popolarità, anche se lo stesso non si può dire del regime in cui gravita. E se il presidente cadesse platealmente per volontà popolare, i siriani temono che la rivoluzione potrebbe scatenare una guerra settaria e l'intervento di Israele – entrambe sono possibilità reali. Anche  l'Arabia Saudita ha un assetto troppo settario e molti gruppi sociali stanno troppo bene perché si possa arrivare allo sconvolgimento rivoluzionario. La componente  che nutre il maggior malcontento nel regno è la comunità sciita oppressa, ma qualsiasi mossa  mettesse in atto incontrerebbe la feroce opposizione dei whahabiti al centro del Paese. Un candidato più probabile al cambiamento è il Bahrein, con la sua maggioranza sciita politicizzata ed erudita che si confronta con l'oppressiva monarchia sunnita. L’Egitto invece è un'incognita. Se per un verso gioca l'eco del fallimento del regime canaglia di Mubarak, c'è anche da dire che gli egiziani non hanno tempo per pensare ad altro che a mettere insieme il pranzo con la cena. Non seguono gli eventi su Facebook o su Al-Jazeera ed è quasi scontato che ogni serio tentativo di moto rivoluzionario popolare provocherebbe migliaia di vittime  (qui la valenza è duplice: cosa c'è di meglio di un susseguirsi di lutti per scatenare una rivoluzione?).

Può darsi che fra sei mesi i commentatori non arabi concludano che la rivoluzione tunisina non è stata altro che l'anomalia di un mondo arabo eternamente stagnante. Ma si sbaglieranno.  La rivoluzione avrà effetti pervasivi di lunga durata in tutta la cultura araba, al pari di quella iraniana che l'ha preceduta. Cambierà qualcosa nell'aria che gli arabi respirano e nei sogni che fanno.

Intanto, tornando al Bahrein, Mahmood Al Yousif ha espresso il timore che la Tunisia possa passare da un estremo all'altro. Qui il suo commento:

Sono pronto a scommettere che dalla sottrazione ai tunisini della compenente più importante della loro identità – la religione – si passerà ora alla condizione opposta: assisteremo all'avvento dell'Islam politico e del credo islamista.

Allora c'è da chiedersi chi e cosa verrà sacrificato sull'altare dell'estremismo? Io credo il buon senso e la moderazione.

E così proseguiva Al Yousif:

Abbiamo parecchio da imparare dall'esperienza tunisina, e gli assennati faranno meglio a prendersi il tempo necessario a capire cosa è accaduto e perché, tentando, ciascuno nella società cui appartiene, di mettere in pratica l'insegnamento. Rinunciando quindi a tagliare gole a colpi di dottrina, per inculcare invece  il rispetto dei diritti umani, della libertà confessionale, della libertà di associazione, di pensiero e di parola.

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