India: bufera su Arundhati Roy dopo le affermazioni sull'indipendenza del Kashmir

Arundhati Roy nella protesta contro le dighe lungo il Narmada. Foto ripresa da International River, con licenza Creative Commons BY-NC-SA

Arundhati Roy [it], nota scrittrice, saggista e attivista indiana, è stata spesso al centro dell'attenzione dei media più per le aperte critiche nei confronti dello Stato indiano che per le sue opere letterarie: dopo aver ricevuto il Booker Prize [it] per il romanzo d'esordio Il dio delle piccole cose [en, come tutti i link successivi tranne dove diversamente indicato], infatti, la scrittrice si è dedicata più che altro a saggistica e politica, trattando temi legati in particolare alla giustizia sociale e alle diseguaglianze economiche.

Recentemente il sostegno alla causa separatista del Kashmir [it] ha provocato una varietà di reazioni in tutta l'India. Il 24 ottobre scorso Roy è intervenuta a Srinagar ad un convegno dal titolo “Quale Kashmir – Libertà o Schiavitù?”, organizzata dal JKCCS (Jammu and Kashmir Coalition of Civil Society). Nell'occasione la scrittrice ha affermato fra l'altro: “il Kashmir non è mai stato parte dell'India. È la storia a dirlo.”.

Il video che segue, realizzato da Wahidfayaz, riporta l'intervento di Roy:

Salil Tripathi sul blog Index On Censorship sintetizza le reazioni locali a tali affermazioni:

Se le opinioni espresse su Internet, via Twitter e Facebook, valgono qualcosa, è evidente che le affermazioni di Roy hanno offeso molti cittadini indiani. Alcuni vorrebbero che finisse in carcere per molto tempo. Qualcuno ha perfino scritto in un tweet che meriterebbe la pena capitale, anche se il massimo della pena comminabile in India è l'ergastolo. Da parte sua il Governo non ha affermato esplicitamente di non volerla perseguire penalmente, anche se un  giurista del Partito del Popolo indiano [it] – originario dello stato dell'Uttarkhand, nel nord del Paese – ha presentato una denuncia ufficiale, alla quale potrebbero seguire ulteriori azioni legali.

Com'è avvenuto sui media indiani, anche la blogosfera è piena di commenti e reazioni favorevoli e contrarie alle affermazioni di Arundhati Roy. Rajan Venkateswaran ritiene che la libertà di espressione abbia dei limiti intrinseci e scrive:

Mi dispiace che il Governo abbia deciso di non intraprendere azioni legali contro di lei. Spero vivamente che qualcuno presenti una Public Interest Litigation, e che la Corte Suprema la metta in prigione, in modo che sia d'esempio per altri tipi come lei.

Travails and Travels critica la posizione di Roy:

C'è ingiustizia in India? Certo. E corruzione? Sì. Favoritismi, nepotismi, comunalismo, comportamenti criminali, oppressione? Si, si e ancora si… eppure, l'India non sta tanto male come si vorrebbe far credere. Così facendo sembra che nel nostro Paese ci sia un'elite che ogni mattina si sveglia con un esperto di diritto che gli sussurra: “depredate i più poveri, stuprate qualche adivasi [it], opprimete un altro po’ di gente e calpestate i diritti umani: basta che stiate attenti ai dettagli”.

Arundhati Roy alla Harvard University nell'aprile 2010. Foto di Jeanbaptisteparis, ripresa da Flickr con licenza Creative Commons BY-SA

Arundhati Roy alla Harvard University nell'aprile 2010. Foto di Jeanbaptisteparis, ripresa da Flickr con licenza Creative Commons BY-SA

Chinmay Kumar difende Arundhati Roy:

Ha abusato della libertà d'espressione? Forse sì, forse no: ma se le sue dichiarazioni finiscono per provocare disastri politici, allora il suo è certamente un utilizzo improprio di questa libertà. Sin dal giorno dell'indipendenza indiana, il Kashmir è sempre stato uno dei temi politici più delicati. Le sue affermazioni sono bastate a creare scompiglio nell'opinione pubblica, dal momento che l'India protegge il Kashmir da tempo; eppure, questo è stato definito dalla Roy un atto colonialista […].

Ci sono voci che si faranno sentire ancora, e ci saranno sempre tentativi di reprimerle. È accaduto centinaia di anni fa e continua a succedere nell'ultimo decennio, da Socrate a Suu-Kyi: oggi è capitato ad Arundhati Roy.

K.R. Surendran dal Kerala informa:

Arundhati Roy ha fatto una dichiarazione che esprime commiserazione per il comportamento della nostro Paese, [invitando] a parlare chiaramente e senza timori, e spiegando che tutto ciò che dice lo fa per amore patrio. Ascoltate i leader…

Rahul Basu, dal blog As I please afferma di non concordare con quanto afferma e scrive Arundhati Roy, aggiungendo tuttavia:

Davvero pensate che il suo discorso le valga l'accusa di tentata sedizione? Sono sorpreso che questo tema abbia ricevuto tanta attenzione sui media.

Su Death Ends Fun, il blogger e scrittore Dilip D'Souza tira le somme sull'argomento e scrive:

Invito tutti ad abituarsi all'idea che qualcuno non sia affatto d'accordo con le cose a cui credete voi e che vi stanno tanto a cuore.
Tra queste rientra anche la questione del Kashmir. Fatevene una ragione.
Fatevi anche una ragione del fatto che esistono modi di vedere le cose in maniera differente;  il solo esprimerli non significa tradire la patria, ma piuttosto è un tratto imprescindibile dell'”essere indiano”. Bisogna abituarsi anche a questo.

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