Ruanda: quale futuro dopo la rielezione di Kagame alle Presidenziali 2010?

Il 9 agosto scorso si sono tenute in Ruanda [it] le elezioni presidenziali [en, come tutti i link che seguono tranne ove diversamente indicato]. I primi risultati diffusi dalla commissione elettorale nazionale hanno subito evidenziato una vittoria schiacciante del Presidente Kagame.

Che significato ha questa vittoria per i ruandesi? Sono state elezioni libere ed eque? E quali prove attendono il Ruanda, ora che le elezioni si sono concluse? Sono alcune delle domande sollevate dai blogger non appena sono stati diramati i risultati dei primi scrutini.

Per Susan Thomson di Democracy Watch Rwanda 2010 la rielezione di Kagame non deve sorprendere, perché l'opposizione è stata messa a tacere:

Come previsto da amici e nemici, Paul Kagame ha conseguito una vittoria elettorale schiacciante. Non c'è da sorprendersi, visto che l'opposizione è stata messa a tacere. Certe voci critiche dicono che, avendo Kagame e il suo schieramento (RPF) impedito all'opposizione di formalizzarsi in partito politico, il problema maggiore del Ruanda adesso è proprio la debolezza dell'opposizione. Personalmente non ho mai pensato che questo fosse un aspetto importante, data la scarsa possibilità di alternanza democratica. L'opposizione è divisa, non ha un programma serio, anzi non dispone neanche di un suo programma, e presumibilmente non gode di alcun sostegno, né da parte delle elite né da parte della popolazione contadina (cosa che però non ci è dato di sapere perché nessuno è andato a chiedere ai Ruandesi cosa pensino).

Il vero problema del Ruanda, sostiene Susan, sta nella lotta di potere interna al Rwandan Patriotic Front (RPF), il partito di governo:

La vera questione, ora che le elezioni si sono concluse, è che sta emergendo innegabilmente una lotta di potere interna al partito di governo (RPF) e ancora non si è letto nessun articolo che affronti seriamente il tema. In parte, ne sono convinta, ciò dipende dal fatto che accademici e  giornalisti critici non hanno ancora intervistato i principali attori. Per ora si lavora alle interviste e si cerca di capire come ha reagito Kagame alle offerte lanciate durante i comizi elettorali e nel corso degli incontri mensili con i rappresentanti della stampa che si trovano a Kigali.

Quel che sappiamo è che da quando si è affermato al governo nel 1994, il Rwandan Patriotic Front ha continuato a consolidare il potere che deteneva. Non si conoscono invece le intenzioni politiche dei suoi contendenti, né il fondamento da cui trarrebbero potere.

L'aspetto più saliente è che il RPF di Kagame abbia messo da parte l'elite militare, in cui figuravano diversi graduati che con Kagame sono stati guerriglieri e i quali, a quanto pare, avrebbero contribuito a formare l'allora ribelle RPF. Nel gruppo ci sono, fra gli altri, il Generale Sam Kaka e il Generale Frank Rusagara. Nel 2001, anche il Generale Kayumba Nyamwasa si è scontrato con Kagame, e nel 2005 è stato arrestato il Colonnello Patrick Karegeya, capo dell'intelligence, accusato di insubordinazione.

Fin qui, tutto risaputo. Le divisioni interne al partito hanno raggiunto l'apice con l'allontanamento in Sud Africa del Generale Kayumba. A ciò si aggiunga l'arresto di altri due generali (Karake e Muhire), accusati d'essere la mente dietro gli attentati a Kigali di questa primavera. Insomma, i capi militari del 1994 presenti nel partito sono ormai per lo più esiliati o sotto arresto (mentre alcuni di loro, in pensione, sono stati rimossi da ogni responsabilità).

I risultati elettorali erano dunque scontati. L'incognita era di quanto avrebbe vinto Kagame:

Mentre attraversavamo le province orientali del Paese, tra i ruandesi e i reporter stranieri era fuori discussione chi avrebbe vinto le elezioni presidenziali in Ruanda. Passando in auto davanti ai seggi elettorali chiusi, sono partite le scommesse. Di quanto avrebbe vinto il presidente Paul Kagame?

Quando alle cinque del pomeriggio sono arrivati i primi risultati da tre distinti seggi elettorali, in automobile abbiamo dato la vittoria al 96%. Ammetto che per ragioni esclusivamente pratiche il mio lancio si era fermato al 90%. Per quanto ne capisco, e correggetemi se sbaglio, all'opposizione serve almeno il 5% dei voti per accedere ai finanziamenti che le garantiscono di restare in piedi.

Se verrà confermato il risultato dei primi scrutini, che assegna a Kagame il 93% dei voti, non so bene che cosa succederà all'opposizione nelle attuali condizioni.

In base ai primi risultati diffusi dalla commissione elettorale nazionale, il Presidente Kagame ha ottenuto il 92.9% dei voti. Il candidato del PSD, Jean Damascene Ntawukuriryayo, ha totalizzato il 4.9 %, Prosper Higiro del Partito Liberale (PL) l'1.5 % e il candidato del PPC, Alvera Mukabaramba lo 0.7 %.

Graham Holliday mette in evidenza alcuni aspetti delle elezioni di cui la stampa non parla. A partire dalla campagna elettorale:

Ai raduni del RPF c'erano folle enormi. Questa ostentazione di forza aveva una triplice platea: i ruandesi, cui si volevano mostrare forza e  popolarità percepita del partito,  gli osservatori stranieri, in una grande manovra di comunicazione da parte del partito di governo, e infine – si badi bene, secondo fonti diplomatiche estere – fra i primari destinatari di questa bella mostra di consensi,  i “nemici del Ruanda fuori dal Ruanda”.

Il blogger prosegue con ciò che definisce la dissoluzione della macchina ruandese delle public relations:

Non più tardi della fine del 2009, la responsabile di una NGO occidentale mi faceva notare quanto fosse incredibile la macchina ruandese delle public relations. “Come fanno a mantenersi così saldamente al timone?”, si chiedeva. Beh, nel 2010 ci pare che la nave tutto abbia fatto tranne che affondare. E non si capisce se basterà qualche intervento di tamponamento a parare la marea di giornalismo scadente, per lo meno nel breve periodo. Come è potuto accadere? E con tanta rapidità…

Gli attentati a Kigali, chi si è ritirato, chi è stato assassinato, la libertà di stampa, la repressione dell'opposizione politica… ecco cosa converge mediamente in un articolo sul Ruanda. Non esiste prova (che io sappia) di alcun collegamento fra gli eventi citati, ma il modo in cui i mezzi d'informazione occidentali ritraggono il Ruanda può creare nei lettori l'impressione che certuni, se non tutti, possano ricondursi al governo.

Per esempio, della chiusura imposta per sei mesi ai quotidiani Umuseso e Umuvugizi si parla per lo più negativamente. Però io so da fonti attendibili che tanto Umuseso quanto Umuvugizi montavano sistematicamente storie di sana pianta, inventandosi addirittura le citazioni. Di certo la chiusura per sei mesi sembra drastica, ma è evidente che queste testate mancassero come minimo di professionalità.

Poi c'è il caso del partito FDU-Inkingi di Victoire Ingabire, cui non hanno consentito la registrazione che dava accesso alle elezioni presidenziali. La Ingabire è ora agli arresti domiciliari e le hanno ritirato il passaporto. Le testate occidentali tendono a dipingere questo fatto come palese repressione, senza invece considerare alcuni aspetti più problematici, come il rifiuto della Ingabire di far sapere da dove provenivano i finanziamenti del suo partito e l'essere presidente di due non ben definite formazioni politiche costituite da persone fuoriuscite dal Paese, RDR e FDU.

La consultazione elettorale non è stata integra e il Paese è spaccato. Il Ruanda va verso il progresso o sta regredendo? ci si chiede, ma il blogger Nkunda scrive:

Sta di fatto però che, con le elezioni guastate da una fondamentale violazione dei principi democratici, è imbarazzante e scandaloso che parte dei mezzi di informazione internazionali ancora non abbiano chiaro se il Ruanda stia progredendo o regredendo.

Paul Kagame è riuscito a dare di sé un'immagine quasi impossibile da criticare, fa notare ancora Nkunda:

Paul Kagame si è costruito una certa immagine e sembra quasi impossibile criticarlo. In un certo senso da questa immagine dipende la corruzione della democrazia. Molti dei primi giornalisti e opinionisti anglofoni venuti in Ruanda sono arrivati come protegé del RPF. Kagame è sempre stato (e continua ad esserlo) molto attento alle PR e al ruolo dei media. Sapeva fin dall'inizio che senza il loro appoggio non sarebbe uscito vittorioso. Ai giornalisti sono state aperte porte strategiche, come i siti dei peggiori crimini, ed è stata data una versione semplificata e filtrata della storia ruandese che glorificava l'esercito Tutsi demonizzando gli oppositori.

Nkunda sottolinea che mettere in discussione questa versione filtrata della storia in Ruanda è reato:

E’ una storia che racconta di una maggioranza Hutu di debosciati assassini che (in modo avulso dalla realtà) si avventano contro i loro innocenti vicini Tutsi e, per ben cento giorni, li massacrano. il Rwandan Patriotic Front è stato l'esercito che ha combattuto per porre fine a quel massacro. A distanza di sedici anni è ancora questa la storia ampiamente riprodotta e utilizzata per giustificare il dispotismo di Kagame e per creare un paravento contro qualsiasi critica.

Si noti che sono state sollevate serie obiezioni sull'accuratezza di questa ricostruzione dei fatti. Contestare la Storia resta il peggior reato in Ruanda. Per esempio, è legalmente perseguibile contestare la storia dell'assassinio del Presidente Habyarimana e sostenere, pur con prove schiaccianti, che il RPF ha preso parte a gravi crimini contro l'umanità. Ovviamente è nell'interesse di Kagame e delle elite del suo partito dare credito a una versione filtrata di questa storia.

Non c'è quindi da stupirsi se il maggior nemico dell'establishment di partito è chi la Storia la contesta e la mette in discussione.

Le elezioni in Ruanda si sono svolte sullo sfondo di alcuni eventi destabilizzanti, osserva Will Jones:

* L'opposizione si è praticamente sbriciolata: Victoire Ingabire (ve la ricordate?) è stata arrestata, e a Peter Erlinder [che si era offerto di difenderla e non gli è stato concesso il patrocinio della causa], l'avvocato revisionista [americano] che si professa “canadese”  è stato subito arrestato anche lui. Per un singolare punto di vista sul collegamento fra canadesi e negazione del genocidio si veda qui. Qui invece c'è l'audio di un'intervista alla Ingabire che aggiunge la sua voce al dibattito. C'è un altro partito che è crollato in mezzo a lotte intestine (a seguito, sembra, di interferenze da parte del RPF). L'opposizione ufficialmente registrata ha temerariamente tenuto un paio di raduni, ma quando qualcuno, dal blog Kigaliwire, è andato al raduno del partito liberale, si  reso conto che tutti i presenti dichiaravano di votare per Kagame.

* C'è gente che è morta: Andre Kagwa Rwisekera, deputato del Democratic Green Party, è stato trovato vicino a un fiume praticamente  decapitato. A Jean Leonard Rugambage, direttore esecutivo del sospeso giornale Umuvuguzi, hanno sparato, uccidendolo, sulla porta di casa a Kigali.  Paul Kagame, al solito, ritiene che i responsabili siano dissidenti stranieri.

* C'e chi inceve ha la fortuna d'essere ancora vivo: è l'ex Generale Faustin Kayumba Nyamwasa, a cui hanno sparato nei pressi della sua casa di Johannesburg. Al tentato omicidio di Kayumba e ad altri assassinii avevo già accennato nel mio blog, ma a questo proposito preferisco aspettare di scrivere un post vero e proprio.

* Il dissidente esiliato Patrick Karegyeya, un tempo nel direttivo del RPF, ora inneggia apertamente alla violenza. E la reazione di Kagame non è di quelle che ispirano grande fiducia: A chi cerca guerra, guerra daremo;

Will Jones fa anche considerazioni sul tipo di copertura dato alle elezioni ruandesi  dalle testate internazionali:

Interessante notare, comunque, come la copertura mediatica internazionale sia un'altra cosa. Tanto per cominciare c'è il Guardian, i cui servizi si sono mantenuti ottimi e ben circostanziati su tutta la linea (complimenti a Gavin Illsley per aver scovato quest'ottimo articolo sul consulente occidentale del Ruanda in materia di Pubbliche Relazioni), il che è di per sé una novità. Comunque, c'è in generale un accento critico comune a tutto il giornalismo che si legge sulle testate internazionali, ed è anche questo un fatto del tutto nuovo (per approfondimenti si vedano il New York Times, l'Huffington Post, l'Observer, il Mail e il Guardian). Rimandiamo a un prossimo post il dibattito sul perché “l'operazione fascino” che si gioca sulla scena internazionale potrebbe essere in procinto di perdere colpi, e per il momento limitiamoci a dare un'occhiata a una nuova leva di blogger coraggiosi che hanno un atteggiamento critico, come Democracy Watch, Coloured Opinions, e Texas in Africa (quest'ultimo in particolare è strepitoso).

Una considerazione finale importante: l'eccellente Jason Stearns sottolinea come il Ruanda, al pari di molti altri, sia un Paese in cui le elezioni sono una distrazione dalla politica, non la politica.

Infine, secondo Will Jones, ecco quale sarebbe la notizia imperdibile sul Paese: Il Ruanda ha la sua prima gelateria!

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