Hijab e burqa, divieti e libere scelte

Anche se la pratica del hijab [it] esiste sin da epoche preislamiche, il dibattito che lo circonda si è intensificato negli ultimi anni. Mentre in alcuni Paesi (Arabia Saudita, Iran, parti dell’Afghanistan e dell’Indonesia) il hijab è obbligatorio, in altri è stato vietato nelle scuole e in altri luoghi pubblici (Turchia, Tunisia, parti del Belgio e della Germania). Ma sia che venga imposto o proibito, l'abbigliamento delle donne musulmane è quasi sempre un argomento che suscita un dibattito infuocato.

Recentemente il presidente francese Nicholas Sarkozy ha proposto [in] il divieto di indossare il burqa [it]. La sua proposta segue la norma francese del 2004 che proibisce l’uso del hijab nelle scuole.

Blogger di tutto il mondo e di ogni posizione hanno commentato la proposta di Sarkozy. Su KABOBfest, la canadese Sana scrive [in]:

Avendo come obiettivo il modo in cui un numero ridotto di donne francesi scelgono di asserire e rappresentare la propria sessualità, la Francia perde di vista le vere radici del problema, lasciando intendere al contempo che le sue fondamenta forse sono assai meno solide di quanto pensino il mondo e i propri cittadini. È ora che la Francia non rinunci alle varie componenti della propria identità, avvicinandosi piuttosto a tali elementi con la mente più aperta. Le sue minoranze stanno cercando di adattarvisi da decenni, ma la Francia non può accettare un’equità minima come base per un’uguaglianza più vasta come abbiamo fatto qui nell’America del Nord?

La blogger conclude così:

Sig. Sarkozy, forse i suoi tentativi sono sinceri: dopo tutto lei sta solo cercando di salvaguardare i criteri che rendono una persona sufficientemente “francese”. Ricordi, comunque, che nel suo tentativo di liberare la donna dalle proprie catene di stoffa, lei ne limita la sessualità, l'individualità e il suo essere ai confini dell'harem dettando la danza che deve eseguire e gli indumenti che deve indossare per compiacere lei.

Il blogger algerino-americano The Moor Next Door fa eco a questo modo di vedere. Sostenendo che la proposta di Sarkozy è “bigotteria travestita da galanteria”, afferma [in]:

Il problema di cui i francesi dovrebbero preoccuparsi non è il burqa per come è indossato oggi in Francia, ma il fatto che un simile divieto, come è successo con la proibizione del velo, rafforzerà quest'indumento in quanto simbolo dell’identità musulmana e un segnale di sfida culturale. La Francia ha fatto un buon lavoro nell'alienarsi le minoranze razziali e religiose. Senz’altro tra le nazioni occidentali è leader in questo campo. Tuttavia questo primato non consente di far avanzare granché la causa dell’assimilazione attivamente perseguita dai francesi. La proposta arriva accompagnata anche da altri accessori. La preoccupazione (sottolineata dall’articolo dell’Economist) che questo possibile divieto venga “equivocato all’estero”, pare ridicola. Cosa ci sarebbe da equivocare? È esattamente un tentativo di limitare l’espressione della religione, in particolare l’Islam in questo caso, e deriva dalle stesse motivazioni del precedente divieto di indossare il velo.

Farah, scrivendo sul blog di gruppo Nuseiba, presenta un eccellente riepilogo delle opinioni australiane [in] sull'argomento, e nota:

Numerosi scrittori (compresi Posetti e Hussein) contrari al divieto rilevano come molte donne scelgano volontariamente di indossare il burqa o il niqab. Mentre il burqa è stato usato da certi gruppi per soggiogare le donne, questi autori sottolineano la necessità di riconoscere la libera decisione di queste donne musulmane, anziché negargliela come farebbe un divieto.

La blogger credente Tracy Simmons, dagli Stati Uniti, ritiene la questione alquanto semplice. Chiedendo a Sarkozy di non privare le donne della propria dignità, implora [in]:

Non credo che la gente comprenda che indossare il burqa è una scelta per parecchie donne musulmane. Ed essendo una scelta, non dovrebbero essere costrette da un governo a NON indossarlo.

Beninteso, non tutti i blogger sono contrari al divieto proposto da Sarkozy. La nota blogger ed editorialista egiziana Mona Eltahawy, famosa per essersi tolta il velo alcuni anni fa (un’esperienza narrata sul proprio blog) [in] ha scritto un editoriale [in] per The New York Times nel quale ha affermato che, come donna e come musulmana, si oppone al burqa ovunque venga indossato.

Una blogger statunitense, Anne of Carversville, esprime sostegno [in] ad Eltahawy dicendo:

Sono sensibile alla natura delicata del cambiamento in politica, ma non ho vissuto fino ad oggi per sentire nel 2009 di essere fuori strada perché credo che i burqa sminuiscano le donne, cancellandole dalla società come sostiene Eltahawy.

Nel formalizzare la mia posizione contro i burqa, non sono assolutamente offesa dalle forme più conservatrici di abbigliamento scelte da molte donne musulmane. Non sono contraria a copricapo di tutti i tipi.

Più in generale, la blogger aggiunge:

Allo stesso tempo, sostengo e raccomando che si accetti con piacere la sensualità della vita – vedere, sentire, odorare e usare tutta la nostra sensibilità per gustare la vita. Questa visione non è cotnraria alla cultura musulmana, che accetta anch’essa la natura profondamente sensuale del vivere.

Accetterò il burqa per le donne quando gli uomini saranno ugualmente costretti a indossarlo. Se entrambi i sessi adotteranno il burqa come un segno di rispetto per la propria religione (che non lo richiede espressamente nel Corano), allora accetterò il burqa come simbolo della cultura musulmana e del costume religioso.

Tuttavia l’editoriale di Eltahawy non ha mancato di suscitare opposizione nella blogosfera. Sahar, che scrive su Nuseiba, protesta:

…il miglior modo per sostenere le donne musulmane è rispettarne la scelta di espressione della propria religione e cultura. Non sta nell’imporre loro ciò che noi riteniamo giusto. Trovo paradossale che Eltahawy, che si considera una femminista, dimentichi l’importanza della scelta, della libera decisione e delle esperienze di vita di queste donne – elementi essenziali per comprendere le donne nell’analisi femminista.

Né siamo tutti d’accordo con Eltahawy che, forse per la sua posizione sociale privilegiata, è distante dalle motivazioni sociali, politiche e religiose del portare il burqa, e non riesce a capire come possa essere un veicolo di successo per alcune o un orgoglioso rafforzamento dell’identità islamica per altre. Il burqa può essere concepito come un simbolo della rabbia che i musulmani sentono nei confronti di un’Europa sempre più xenofoba. Rappresenta il tentativo di aggrapparsi a un’identità che va erodendosi in un ambiente ostile. Scrivo questo pezzo subito dopo aver letto della donna egiziana che è stata pugnalata 18 volte in un tribunale tedesco dall’uomo da lei denunciato per averla molestata perché portava il velo. Non è soltanto il burqa a essere denigrato e screditato ma l’abbigliamento islamico nel suo complesso. Pertanto, l’appello a togliere il burqa non può essere visto al di fuori di questo contesto e per Eltahawy pensare di poter separare la propria critica da un simile contesto è politicamente naïf.

Anche se resta da vedere se la Francia adotterà o meno il divieto del burqa, una cosa è certa: si tratta di un tema che polarizza fortemente le opinioni in tutto il mondo.

3 commenti

  • Novella Sarti

    vorrei aggiungere solo qualche punto x quel che riguarda l’italia….dico ch se c’e’ una costituzione in italia questa deve essere osservata, ne abbiamo fatto un oggetto di potere per pressare una minoranza che nulla in concreto ci ha fatto… dico che se invece di perdere tempo a combattere un diritto (se si ha il diritto di andare nudi perche’ quello di andare coperti non lo vogliamo?) di queste donne mesulmane che devono avere un diritto di scelta in paese “democratico”, perche’ invece di pressarle non dialoghiamo con loro e cerchiamo di capire il punto di vista loro? puo’ anche darsi che riusciamo a stringere amicizia con queste donne, che riescano a raccontarci qualcosa di nuovo, che ci faccia uscire dalle nostre visioni unilaterali…
    penso e sono convinta che lo straniero, soprattutto il diverso sia una grande ricchezza per il nostro paese e ci possa far andare veramente avanti e amare insieme un’unica italia.

  • Salve, nelle sue conclusioni la penso proprio come lei.
    I modelli di accettazione possibili stanno tra quello francese di assimilazione, a costo di sacrificare il velo, e quello britannico di multiculturalità, forse rischioso. Bisognerebbe forse trovare una terza via?
    Distinguerei comunque anche tra i tipi di velo, perchè una cosa è lo hijab, e un’altra sono i veli integrali, i quali mi sembrano davvero rappresentare una forma di sopraffazione, e questa è una considerazione che si fa anche in Medioriente. Anche rispetto a questi, tuttavia, credo che affrontarli non debba tradursi mai in repressione, che non mi pare mai una buona strada.

  • carmelo cartalemi

    Vi consiglio questo articolo pubblicato dal quotidiano online West.

    http://www.west-info.eu/it/il-velo-di-pandora/

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