Afghanistan: pace, spazzatura e riconciliazione

Anche se può rincuorare notare il ritorno dell'Afghanistan nei notiziari statunitensi, c'è ancora molta complessità nel Paese. E questo senza nemmeno prendere in considerazione il punto di vista di Azar Balkhi, che sottolinea [in] l'incapacità della Coalizione nel riconoscere le rivalità tribali quando vengono richieste incursioni aeree.

Nondimeno, si tratta di un argomento da tenere in considerazione. Il bombardamento di Shindand [in] non è che uno dei problemi che affliggono l'Afghanistan occidentale, spesso dimenticato. Ritenuta generalmente più stabile, sicuro e prospero del resto del Paese (lo è), la città di Herat deve comunque fronteggiare grossi problemi, a cominciare dai cosidetti “Talebani Tagichi” [in]. Come spiega Tim Foxely,

Il fatto che ora altri gruppi etnici provino a emulare i Talebani, se non addirittura a unirvisi, per condurre la resistenza contro il regime di Kabul, si pone da qualche parte fra “vero motivo di preoccupazione” e “peggior incubo di ciascuno”. Ciò evoca il “punto di non ritorno”, preoccupazione di tutti i comandanti ISAF passati e presenti sull'eventualità che la popolazione, stanca di ritrovarsi tra decine di migliaia di soldati da tutto il mondo che li bombarda e un governo corrotto e inadempiente, scelga di allearsi con qualcun altro. Un'altra prospettiva vuole che Akbari sia stato rimosso dalla sua posizione per corruzione o incompetenza, o entrambe le cose, e si stia semplicemente godendo niente più che un “buen retiro”, alla maniera dei signori della guerra afghani. Così fosse, si tratterebbe di una situazione localizzata ed eccezionale, e probabilmente non è il caso di preoccuparsene.

Questo è un eccellente sunto di quanto sia difficile stabilire quali problemi nel Paese richiedano seria considerazione e un livello d'allerta elevato, e quali non siano altro che, in assenza di una terminologia migliore, cicliche variazioni di un canovaccio del conflitto ormai standard.

Bazar a Kandahar

Un bazar di Kandahar durante il Ramadan, foto gentilmente concessa da Chooyutshing
.

Tale situazione può manifestarsi in un paio di modi. Alex Strick van Linschoten [in], ad esempio, è appena tornato a Kandahar dopo aver trascorso alcune settimane all'estero. Cos'ha notato al suo ritorno?

Se c'è una cosa che un paio di settimane all'estero (in California e a Londra) possono fare è [sicuramente] restituirti un pò di prospettiva su cose che sbrigativamente classifichi come “normali” quando vivi a Kandahar. Se qualcuno tirasse fuori una pistola per posarla su un tavolino al Cafè Nero, a Londra, ci sarebbe qualche problema, ma a Kandahar non batto ciglio quando vedo le persone da me intervistate o degli amici venire da fuori e appoggiare al muro il loro kalashnikov o il bazooka.

A parte ciò, la città è alquanto tranquilla.

Sicuramente. Più a nord, Harry Rud [in] cammina per le strade ricolme di spazzatura di Kabul, e fa notare quanto uno straniero possa sentirsi disconnesso dalla realtà, al riparo in quei conglomerati blindati.

Molti stranieri non hanno il permesso di mettere piede fuori dai loro quartieri, hanno un elenco dei posti dove possono e (molto più probabilmente) non possono andare, e ci sono ferre regole sull'altezza dei muri, lo spessore del filo spinato e il numero di guardie armate che li circondano. Non si tratta certo di una situazione auspicata o apprezzata da molti. Distrae parecchia gente. Mi reputo fortunato a poter camminare un pò oltre, pur se in certi posti divento troppo nervoso per fermarmi e dare un'occhiata in giro.

È difficile descrivere le cause di questo nervosismo. Certo, c'è l'ovvia anche se improbabile eventualità di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Poi c'è il senso di disconnessione, e la concezione di un “noi” e un “loro” che comporta, l'idea di trovarsi talmente fuori luogo, osservati da una folla di sconosciuti. Un'agitazione tipo quella degli uccelli, per dirla in parole povere.

Ma ciò solleva un altro interrogativo: cos'è che, esattamente, sta facendo l'Occidente in Afghanistan dopo sette anni di occupazione? Azar Balkhi [in] rileva che in occidente sembra esistere una sensazione di panico incosciente, ma non un concreto sentore di urgenza:

Oggi, 25 settembre, alcuni combattenti talebani pachistani hanno pestato pubblicamente due macellai che vendevano carne di animale nella vallata nordoccidentale di Swat. Sempre oggi, i soldati pachistani hanno sparato contro elicotteri di ricognizione americani che scortavano alcune truppe di fanteria lungo il confine aereo, dando vita a una battaglia a terra di cinque minuti tra i due Paesi.

Tutto ciò accade mentre il Presidente Asif Ali Zardari e Hamid Karzai promettono aiuto a Washington nella guerra al terrore e si incontrano con i leader di spicco a New York…

Combattenti talebani armati di tutto punto hanno portato i macellai bendati in un affollato mercato del quartiere di Kabal, e li hanno malmenati di fronte a una folla di circa 200 persone. I Talebani avevano anche chiamato i media perchè raccontassero la storia: (…) non c'è alcun governo in grado di fermarli.

Il che ci porta al punto di partenza: l'estrema complessità dell'Afghanistan. L'ultima idea a circolare tra gli uffici degli addetti ai lavori di Londra, Washington D.C. e Bruxelles è il negoziato con i Talebani. Christian Bleuer [in] si chiede:

* quali “Talebani” (Quetta Shura? I comandanti locali semi-autonomi? Hizb? Haqqanis? Altri ancora? o tutti contemporaneamente?)

* se la risposta è “Talebani moderati” allora, per favore, definiteli con precisione.
* non credete che lo stesso programma di riconciliazione del governo Afghano sia una forma di negoziato?
* non sapete nulla della comunicazione/negoziazione avviata dal governo Afghano con gli insorti?

Detto questo, rimangono alcuni momenti luminosi nella vita in Afghanistan. Andrea [in] ne offre alcuni impossibili da rendere con un semplice riassunto. Vanno letti per intero.

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