Un Web che parla la tua lingua

Ecco di seguito la traduzione italiana (qui quella spagnola e qui quella araba) dell'articolo pubblicato Domenica 17 maggio 2009 sul New York Times, A Web That Speaks Your Language, dove si parla del progetto Lingua e di analoghe iniziative in corso su traduzioni aperte, collaborative e volontarie online.

Un Web che parla la tua lingua
di Leslie Berlin

Nei primi anni del Web, quasi tutti i contenuti online erano in inglese. Ma ciò va cambiando rapidamente. Oggi, per esempio, gli articoli di Wikipedia sono disponibili in oltre 200 lingue. E circa il 36 per cento dei sette milioni di blog che girano su WordPress, piattaforma di software libero, sono in lingue diverse dall’inglese, secondo il fondatore Matt Mullenweg.

Tali cambiamenti preannunciano delle sfide, sostiene Ethan Zuckerman, ricercatore associato presso il Berkman Center for Internet and Society presso la Harvard University. “Sperimentiamo tutti un’Internet più piccola di quanto dovremmo” dice Zuckerman. “Nel Web costruito dagli utenti abbiamo creato una strana dinamica dove ogni giorno compare una gran quantità di materiale — parte del quale importante — ma ciascuno ne può leggere sempre meno perché è in molteplici lingue”.

Un certo numero di servizi, automatizzati e umani, stanno contribuendo a tradurre quella che Zuckerman definisce la “Internet poliglotta”. Tecnologie di traduzione automatiche, una volta assai costose, oggi vengono offerte gratuitamente su siti quali Google Translate, che include traduzioni in 41 lingue. Su questi siti gli utenti possono inserire dei blocchi di testo e quasi istantaneamente ne compare la traduzione realizzata da sistemi automatici.

Google Translate può anche tradurre il termine di una ricerca in un’altra lingua e poi attivare tale ricerca su siti stranieri. I risultati compaiono in due formati: nella lingua di destinazione e ritradotti in quella iniziale.

Questi testi generati automaticamente forniscono traduzioni generali e approssimative dell’originale, mentre idee o frasi complesse fanno incespicare perfino il software più sofisticato, soprattutto nelle lingue diverse da quelle romanze. E quando si arriva alle sfumature linguistiche, “le traduzioni automatiche le sorvolano del tutto”, afferma Zuckerman.

In ogni parte del mondo c’è chi si sta facendo avanti per tradurre queste sfumature linguistiche, a costo zero.

Leonard Chien, studente e traduttore e interprete professionale residente a Taiwan, chiede 100 dollari l’ora per servizi di interpretariato. Ma per due o tre ore al giorno fa lavoro volontario per Global Voices, sito di giornalismo partecipativo fondato da Zuckerman e Rebecca MacKinnon – traducendo in Cinese i post relativi a varie parti del mondo.

Chien è co-direttore del progetto di traduzioni avviato da Global Voices, chiamato Lingua, i cui volontari traducono i post di Global Voices in 15 lingue diverse. Riceve un piccolo compenso mensile per il ruolo di co-direttore, spiega, ma è contento di donare il proprio tempo come traduttore.

“Mi entusiasma sempre veder pubblicare nuovi articoli”, aggiunge. “Voglio raccontare le cose a chi legge, ma in lingue diverse”.

Chien è fra le 104 persone che il mese scorso hanno prestato lavoro volontario come traduttori per il progetto Lingua. Altri volontari di ogni parte del mondo hanno partecipato al programma “Google in Your Language”, aiutando l’azienda a tradurre i propri prodotti in 120 lingue. Mercoledì scorso, TED, conferenza a inviti che include relatori di alto profilo come Al Gore e Bill Gates, ha pubblicato i sottotitoli e le trascrizioni tradotte di molti interventi archiviati sul proprio sito Web. Delle 300 traduzioni complessive, 200 sono state curate da volontari.

I traduttori hanno svariate motivazioni per svolgere lavoro volontario. “Mi piace l’impegno richiesto nelle traduzioni fra lingue assai differenti a livello stilistico e culturale”, dichiara Anas Qtiesh, traduttore ed editor Arabo-Inglese residente a Damasco che fa lavoro volontario per 15-20 ore settimanali con Lingua. Un lavoro che gli consente di fare esperienza e offre visibilità, aggiunge.

Alexander Klar, designer grafico a Möhnesee, Germania, che stima in 62 ore il tempo impiegato a tradurre in tedesco svariati interventi di TED, trova ispirazione nel contenuto stesso. “Condividere queste idee oltre i limiti del linguaggio”, spiega, “ci offre la possibilità di dimenticare i muri e le barriere che ci separano”.

Nel lanciare il progetto della traduzione dei video, TED prevedeva di usare in gran parte traduttori professionali, pur avendo ricevuto traduzioni non richieste dagli appassionati di interventi su specifici temi. “Pensavamo che le traduzioni professionali fossero l’unico modo per assicurare un lavoro di alta qualità”, dice June Cohen, produttore esecutivo di TED Media. Il passaggio ai traduttori volontari risale allo scorso autunno, quando Cohen e colleghi — i circa 20 impiegati a tempo pieno del progetto parlano 14 lingue diverse, aggiunge — leggendo alcune traduzioni dei volontari ne rimasero favorevolmente colpiti.

“I volontari sono assai interessati a produrre la miglior traduzione possibile, e non si curano del tempo che ciò richieda”, spiega Cohen. “Si respira una passione che manca nei traduttori pagati”.

E poi ci sono i risparmi nelle spese. Cohen stima che un servizio di traduzioni professionale richiederebbe 500.000 dollari per le traduzioni già completate o in lavorazione da parte dei volontari.

La responsabilità più ovvia delle traduzioni collettive riguarda il controllo sulla qualità. Quelle proposte per “Google in Your Language” vengono “riviste dall’azienda prima di essere diffuse”, dichiara Nate Tyler, portavoce della società. Lingua e TED richiedono la revisione di un secondo editor bilingue prima della pubblicazione e il traduttore iniziale firma i propri lavori, in modo da scoraggiare traduzioni approssimate o deliberatamente mal fatte.

Resta da vedere se le traduzioni volontarie possano crescere oltre i gruppi isolati dediti a cause particolari. Una soluzione potrebbe essere un sistema ibrido fra traduzioni automatiche e umane. Questo è l’approccio di Meedan.net, sito dove utenti che parlano inglese e arabo affrontano questioni relative al Medio Oriente. I post vengono automaticamente tradotti nella lingua opposta tramite sistemi automatici, per poi essere rifiniti da traduttori umani.

Ed Bice, fondatore di Meedan.net lo definisce “modello transitorio”, aggiungendo di ritenere che le traduzioni automatiche continueranno a migliorare ed entro il prossimo decennio potranno raggiungere qualità vicine a quelle umane.

Nel frattempo, sostiene Zuckerman, occorrono altre soluzioni. “Internet ha il potenziale per essere una conversazione globale”, fa notare. “Ma se non si risolve questo problema delle lingue, non potrà esserlo e non lo sarà”.

Leslie Berlin è responsabile del progetto Silicon Valley Archives presso la Stanford University. Contatti: prototype@nytimes.com