I nostri governi devono legalmente proteggerci dai cambiamenti climatici?

L'avvocato di Urgenda Roger Cox (a sinistra, con la toga) dopo aver vinto una battaglia legale sul clima di portata storica per i Paesi Bassi. Foto di Urgenda / Chantal Bekker, ripubblicata con l'autorizzazione degli autori.

L'avvocato di Urgenda Roger Cox (a sinistra, con la toga) dopo aver vinto una battaglia legale sul clima di portata storica per i Paesi Bassi. Foto di Urgenda / Chantal Bekker, ripubblicata con l'autorizzazione degli autori.

Questo post, scritto da Sophia V. Schweitzer [en, come tutti i link seguenti], è stato pubblicato per la prima volta su Ensia.com, una rivista digitale che si occupa di soluzioni attive ai problemi ambientali internazionali. Viene ripubblicato qui come parte di un accordo per la condivisione dei contenuti.

Il 24 giugno scorso, un tribunale dell'Aia ordina al governo dei Paesi Bassi di agire più rapidamente per proteggere i cittadini dagli effetti dei cambiamenti climatici. Per la prima volta nella storia, il problema dei cambiamenti climatici viene dichiarato un obbligo da parte di uno Stato, fermo restando che il problema non potrà essere risolto attraverso gli sforzi di un unico paese. La sentenza si basa su varie branche del diritto, tra cui la tutela dei diritti umani, e di fatto rende il governo olandese responsabile delle emissioni di gas serra sul suo territorio. Un risultato, questo, con cui probabilmente dovranno fare i conti anche altri paesi.

Il governo, ha stabilito il tribunale, dovrà assicurare che le emissioni olandesi nel 2020 saranno inferiori rispetto a quelle del 1990 almeno del 25%, percentuale indicata dal Quinto Rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) come riduzione necessaria nei paesi industrializzati, se vogliamo evitare che la temperatura globale aumenti di oltre 2°C, con conseguenze catastrofiche per il pianeta. I leader politici olandesi prevedono già di ridurre le emissioni del 17% nei prossimi cinque anni.

“La nostra causa dimostra che i politici non possono più chiudere gli occhi di fronte ai cambiamenti climatici. Hanno il dovere di agire, a livello legale o a livello morale”, afferma Dennis van Berkel, consulente legale della Urgenda Foundation (il cui nome deriva da “urgent agenda”), che, forte del supporto di altri 900 coquerelanti, ha avviato l'azione legale.

Gli olandesi, che vivono su un territorio quasi completamente al di sotto del livello del mare, hanno tutte le ragioni per preoccuparsi dei cambiamenti climatici. Ma hanno anche tutte le risorse per potersi adattare a un nuovo clima. Le popolazioni che soffriranno di più saranno quelle che vivono nei paesi più poveri, che hanno contribuito meno al riscaldamento globale e sono spesso meno preparate ad affrontarlo. Ed è proprio per loro che la vittoria olandese è importante, dice van Berkel. “I diritti dei coquerelanti sono fondamentali, ma il cambiamento climatico rischia di colpire soprattutto chi vive al di fuori dei nostri confini”, continua l'avvocato. “La sentenza incoraggerà anche altri ad appellarsi ai diritti umani quando si parla di cambiamento climatico.” A questo punto, la domanda sorge spontanea: i Paesi Bassi hanno appena posto una pietra miliare nella storia del mondo?

Dai diritti umani alle politiche

Nel 2008, l’International Council on Human Rights Policy (Consiglio internazionale sulle politiche per i diritti umani) di Ginevra scriveva, in un rapporto su cambiamenti climatici e diritti umani: “I diritti umani degli individui devono per legge essere considerati come obblighi dello Stato.” Ormai da anni, però, il mondo stenta a giungere ad accordi internazionali che tengano conto di questi obblighi: dal Protocollo di Kyoto del 1997, alle varie Conferenze delle Parti, fino alle Convenzioni delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tutte le iniziative prese ma che finora hanno faticato a ingranare la marcia, in larga parte a causa delle azioni politiche dei governi, che non hanno mai tenuto il passo con le promesse fatte.

Di fronte al disinteresse dei leader politici, i cittadini hanno tentato di spingere i governi all'azione, senza però riportare vittorie come quella di Urgenda. Nel 2005, ad esempio, l'Inuit Circumpolar Council (Consiglio circumpolare degli Inuit) aveva presentato ricorso presso la Commissione Interamericana per i Diritti Umani di Washington, sostenendo che il riscaldamento globale causato dai gas serra emessi dagli Stati Uniti, che sta distruggendo l'ambiente artico, viola il diritto del popolo Inuit di vivere secondo il proprio stile di vita tradizionale. La commissione, però, aveva respinto il ricorso per mancanza di prove.

A detta di Wim Voermans, docente di diritto costituzionale presso l'Università di Leiden, “gli obblighi dei governi sono chiari. Se, però, non vengono rispettati, i cittadini possono far valere una violazione dei propri diritti? Questo è il punto. … Nei contenziosi civili è difficile dimostrare un rapporto di causalità diretta.”

Il villaggio di Kivalina (Alaska), messo in pericolo dall'erosione delle coste, ha citato in giudizio varie aziende fornitrici di energia, sostenendo che il cambiamento climatico ha costretto i suoi abitanti a trasferirsi altrove. Flickr: Foto di ShoreZone (Flickr/Creative Commons)

Il villaggio di Kivalina (Alaska), messo in pericolo dall'erosione delle coste, ha citato in giudizio varie aziende fornitrici di energia, sostenendo che il cambiamento climatico ha costretto i suoi abitanti a trasferirsi altrove. Foto di ShoreZone su Flickr (Flickr/Creative Commons)

Nel 2008, il villaggio di Kivalina (Alaska) aveva citato in giudizio diversi colossi energetici, sostenendo che il riscaldamento globale aveva compromesso la formazione del ghiaccio e quindi costretto gli abitanti a trasferirsi altrove. Le autorità giudiziarie avevano disposto il non luogo a procedere, adducendo come motivazione il fatto che i livelli accettabili di emissioni di gas serra devono essere stabiliti da parlamenti e governi, non dai tribunali.

“Il vero problema è: chi ha quale potere?” si chiede Michael Gerrard, direttore del Sabin Center for Climate Change Law del Dipartimento di Giurisprudenza della Columbia University. “A chi spetta di stabilire la politica sul clima? La risposta dei giudici solitamente è: non a me. Prima del caso Urgenda, nessuna corte si era mai assunta questa responsabilità.”

Non tutti i giudici, però, si sono mostrati maldisposti. Tra il 2006 e il 2007, lo Stato del Massachusetts ha citato in giudizio l’ EPA, l'agenzia federale americana per la tutela dell'ambiente, poiché questa si era rifiutata di inserire l'anidride carbonica tra gli agenti inquinanti citati nel Clean Air Act, la legge sull'inquinamento atmosferico del 1970, adducendo come pretesto che regolare le emissioni di gas serra avrebbe potuto ostacolare le strategie della Casa Bianca. La Corte Suprema ha espresso parere contrario. Certo, si è trattato di un notevole passo in avanti, ma “la corte non ha definito una vera e propria politica”, spiega Gerrard. “È un po’ come se i giudici avessero detto: questo è compito dell'EPA.”

In altri paesi, i magistrati hanno adottato un punto di vista diverso e interpretato il loro ruolo in maniera più attiva. In alcuni casi, i tribunali hanno deciso di intervenire in nome dei cittadini. Ad esempio, nel 2001, la Corte Suprema indiana ha decretato che tutti gli autobus di Delhi dovessero passare dal diesel al gas naturale: una sentenza storica, che ha migliorato significativamente la qualità dell'aria, ma che non ha affrontato direttamente la questione dei cambiamenti climatici.

Tra governi che non mantengono le promesse e tribunali che declinano ogni responsabilità, negli ambienti accademici e forensi (e, marginalmente, anche nella magistratura) si è sviluppato un senso di disagio crescente. Alcuni magistrati si sono perfino incontrati per determinare se i cambiamenti climatici possano essere considerati realmente come un problema dalle leggi vigenti, soprattutto quelle in materia di diritto internazionale, diritti umani, normativa ambientale nazionale e, in misura minore, diritto civile. La conclusione è stata positiva. “Il principio dei diritti umani e della tutela ambientale esiste ormai da tempo, e ora è minacciato dai cambiamenti climatici”, dice ancora Gerrard. “A nostro giudizio, la giurisprudenza dovrebbe essere in grado di affrontare una minaccia di simili proporzioni.”

Le discussioni di questo gruppo, che si sono protratte per anni, hanno portato, il 1° marzo 2015, al lancio dei Principi di Oslo sugli Obblighi riguardo ai Cambiamenti Climatici Globali. I principi sono stati redatti da membri esperti di corti nazionali e internazionali, università e organizzazioni di diverse parti del mondo, sulla base delle leggi esistenti e tenendo conto della soglia critica dei 2°C indicati dall'IPCC, allo scopo di identificare gli obblighi legali in materia di cambiamenti climatici. Gerrard, che ha collaborato alla stesura dei principi, dichiara: “Al momento ci stiamo occupando di far conoscere questi principi a tutti i giudici del mondo. Il nostro auspicio è che i principi vengano usati come quadro di riferimento e che siano citati dai tribunali.”

Roger Cox, autore del libro Revolution Justified e legale rappresentante di Urgenda, sopraffatto dall'emozione dopo la storica sentenza del tribunale olandese. Foto di Urgenda / Chantal Bekker

Roger Cox, autore del libro Revolution Justified e legale rappresentante di Urgenda, sopraffatto dall'emozione dopo la storica sentenza del tribunale olandese. Foto di Urgenda / Chantal Bekker

Il caso Urgenda risale a molto prima della stesura dei principi, a quando, cioè, Roger Cox, uno dei legali rappresentanti di Urgenda, pubblica un libro intitolato Revolution Justified, che si interroga su come i tribunali possano risolvere i problemi legati alle fonti di energia. Con il progredire della causa, però, i Principi di Oslo si sono fusi con altre branche del diritto e con i dati scientifici dell'IPCC. A detta di Gerrard, la sentenza del caso Urgenda è stata “la prima decisione di un tribunale che ha imposto a uno stato di limitare le emissioni di gas serra per motivi diversi dal rispetto delle normative.”

Dare forza all'azione

Nel frattempo, le scoperte scientifiche si susseguono. La rivista Nature ha pubblicato lo febbraio scorso uno studio secondo cui lo scioglimento del permafrost accelererebbe i cambiamenti climatici, cosa di cui i rapporti finora pubblicati dall'IPCC non tenevano conto. Scoperte come questa ci allontanano sempre più dall'obiettivo di contenere l'aumento delle temperature entro i 2°C. “Le nostre scoperte sono motivo di ulteriore preoccupazione”, commenta Kevin Schaefer, ricercatore del National Snow and Ice Data Center dell'Università del Colorado e coautore dello studio su Nature. “Si percepisce un senso di urgenza. Il processo di carbon feedback, ossia di emissione di anidride carbonica dal permafrost, è irreversibile, un vero e proprio punto critico.”

Tuttavia, da quando la comunità scientifica ha riconosciuto il problema dei cambiamenti climatici, non è stata certo la mancanza di prove scientifiche che ha ostacolato l'azione dei governi. La sentenza Urgenda potrebbe essere un vero punto di svolta, perché costituisce un precedente legale e afferma chiaramente che vanno presi provvedimenti concreti al più presto. Anche se la sentenza non è legalmente vincolante per altri governi, rimane comunque una pietra miliare e un esempio da seguire.

“Speriamo che serva d'ispirazione anche per altri paesi”, confessa Gerrard.

Il cammino verso l'impegno

La sentenza capita al momento giusto, proprio mentre i governi di tutto il mondo si preparano alla COP 21, la conferenza delle Nazioni Unite che si terrà a Parigi il prossimo novembre (e c'è da credere che vorranno occuparsi della questione prima di allora, visto che cause di questo tipo vanno moltiplicandosi ovunque). “Nessuno si aspetta che gli impegni assunti durante la COP 21 basteranno a evitare il pericolo dei cambiamenti climatici”, afferma van Berkel. “Ma dopo la COP 21 sarà fondamentale che tutti i paesi tengano fede agli impegni presi. In questo saranno determinanti i procedimenti come quello che abbiamo appena concluso.” Al momento non sono ancora previste iniziative per discutere dei Principi di Oslo durante la conferenza di novembre, ma Urgenda sta organizzando una marcia da Utrecht a Parigi, che partirà il 1° novembre, per attirare maggiore attenzione sui provvedimenti da prendere per frenare i cambiamenti climatici.

Un procedimento civile simile a quello di Urgenda è ora in corso in Belgio, un altro si svolgerà a breve in Norvegia. Esiste comunque la possibilità che la sentenza di Urgenda venga impugnata e che le altre cause non si concludano con una vittoria. In ogni caso, ognuna di esse contribuirà a rafforzare l'idea che diritti umani e cambiamenti climatici vanno di pari passo, come sottolinea Bill McKibben, fondatore del movimento 350.org, che ha condotto, tra le altre, una campagna tra università e altre istituzioni contro l'utilizzo dei combustibili fossili. “Queste iniziative faranno risuonare continuamente il messaggio di Desmond Tutu: i cambiamenti climatici sono la crisi umanitaria del nostro tempo.”

Sophia V. Schweitzer vive sull'isola di Hawaii ed è una scrittrice scientifica indipendente. Si interessa principalmente di cambiamenti climatici e ambiente. I suoi scritti sono apparsi su numerose pubblicazioni, tra cui Pacific StandardWired.com, American Forests e Buddhadharma.Tra i suoi libri, ricordiamo Big Island Journey.

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