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Egitto: la penisola del Sinai zona da “Far West”?

Categorie: Medio Oriente & Nord Africa, Egitto, Citizen Media, Guerra & conflitti, Relazioni internazionali

Lo scorso aprile, dopo il lancio di razzi dalla regione del Sinai contro la città turistica di Eilat, il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito [1] [en come i link successivi, tranne dove altrimenti indicato] la penisola egiziana come “una specie di Far West” utilizzato, con il favore dell'Iran, per il traffico di armi dagli estremisti islamici che organizzano attacchi contro Israele. In agosto un commando aveva attaccato e ucciso 16 guardie egiziane per poi varcare il confine. E questo è soltanto uno di una serie di episodi di violenza verificatisi da giugno, quando Mohamed Morsi è stato eletto Presidente.

Dopo la caduta di Mubarak, l'Egitto ha dovuto rivedere i propri rapporti con Israele e la Palestina. L'attacco di agosto ha evidenziato alcuni punti deboli [2] delle normative egiziane sulla sicurezza. Non bastavano le manifestazioni [3] e la violenza settaria a mettere a dura prova la presidenza di Morsi: con l'incidente al confine ha messo in luce una gestione confusa e lacunosa della sicurezza nazionale del Paese.

Non è chiaro infatti se a occuparsene siano il Presidente assieme al Ministro degli affari esteri, i servizi segreti, o l'esercito, come si era soliti fare un tempo.

Dalla serie the series "I militanti più ricercati del Sinai", di Mosa'ab Elshamy. Uso consentito. [4]

Dalla serie “I militanti più ricercati del Sinai”, di Mosa'ab Elshamy. Uso consentito.

In risposta all'aggressione nel Sinai, l'Egitto ha chiuso a tempo indeterminato il valico di Rafah, decisione che Hamas a definito [5] “una punizione collettiva per i Palestinesi”. Amr Moussa, Ministro degli affari esteri nel Governo di Mubarak, ha richiesto una revisione degli accordi di Camp David [6], mentre molti osservatori si sono pronunciati in favore [7] di un'apertura verso le tribù beduine o addirittura di un nuovo dispiegamento di forze nella regione del Sinai. Quest'ultima ipotesi non appare poi tanto remota, visto che l'invio di forze egiziane nella regione è già previsto dai trattati di pace con Israele.

Il processo di rimilitarizzazione della penisola mette ulteriormente in discussione [8] il ruolo degli Stati Uniti nelle dinamiche di questa regione, un ruolo di certo cruciale ma, fino ad ora, alquanto ‘discreto’.

In una serie di tweet [9] [Ar], l'analista egiziana Ezzedine Fishere spiega l'importanza di una politica trasparente e una presa di posizione più chiara nei confronti di Egitto e Palestina da parte degli Stati Uniti.

Data la complessità dei retroscena e delle motivazioni che hanno portato all'attacco di agosto, “prevalgono le tesi del complotto,” afferma il blogger egiziano The Arabist [10], continuando così:

… L'Egitto deve agire e imporsi nuovamente con forza nella regione, con misure intransigenti nei confronti dei gruppi criminali e i commando, Beduini o stranieri, e con un'onesta politica per lo sviluppo, la creazione di posti di lavoro e per l'integrazione del Sinai nell'economia nazionale. Un passo non certo facile, ma già da tempo necessario, e che dovrebbe essere fatto al più presto, anche se la tattica del pugno di ferro che molto probilmente verrà usata potrebbe causare ulteriori problemi a breve termine.

Commentando un saggio fotografico [11] pubblicato di recente da Mosa’ab Elshamy, scrive [12]:

Ovvio che, data la vicinanza con Israele, la regione del Sinai non è solo un problema dell'Egitto. Mi sorprende che i media le dedichino così poca attenzione.

Morsi ha inaugurato il proprio mandato con un contestatissimo giro di vite per quanto riguarda la libertà di espressione [13], e con la destituzione di alcuni leader militari, fino ad allora considerati intoccabili, guadagnandosi così l'appellativo di ‘nuovo dittatore’ [14]. Ma questo silenzio dei media, viene forse dal voler “conciliare sicurezza e libertà civili” [15]? Con la mancanza di informazioni su quanto accade in Sinai e la struttura politica egiziana ancora in via di assestamento, non è facile avere un'idea chiara sull'entità del problema.

Il fotografo egiziano Mosa'ab Elshamy pubblica le sue foto scattate nella penisola del Sinai [16], tra cui alcune ritraggono dei militanti islamici [17] e molte altre i tesori archeologici della regione [18].